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 Siamo tutti malati. Non nel corpo, ma nel modo in cui la società ci prende le misure e ci confeziona un dolore di serie, per poi venderci l’anestesia a rate: cibo consolatorio, alcol, fumo, schermi, scommesse, tifoserie. Li chiamiamo “piaceri”, perché senza di loro — ci dicono — si vivrebbe una vita triste; in realtà sono leve neuro-chimiche che smorzano il rumore di fondo. Infine i “valori”: non etichette morali, ma i pilastri che danno forma al giorno — soldi, lavoro, famiglia, svago. Sono il telaio che organizza gli orari, orienta l’identità, sincronizza gli ormoni con gli impegni. Possono essere fondamenta o gabbia: dipende dall’uso e dall’idea che ci abita. Io l’ho capito quando ho cominciato a scardinare l’intero contesto, vite e credenze comprese. Per anni ho creduto che il senso fosse trovare un buon lavoro, mettere su famiglia, coltivare interessi. Intanto, però, a tenermi in vita erano le micro-anestesie quotidiane: il cibo che consola, il caffè, il bar, le passeggia...
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  Saper leggere i propri ormoni Siamo organismi chimici, e il nostro benessere dipende dall’intesa — mai stabile ma continuamente rinegoziata — tra serotonina, dopamina e ossitocina, sotto il controllo vigile del cortisolo, l’ormone che regola la nostra soglia di attivazione. Ogni gesto, ogni pensiero, ogni abitudine agisce su di essi e, nel farlo, ne subisce a sua volta gli effetti. Alle 5:30 del mattino sono qui al computer: il caffè apre la finestra dopaminica attraverso quel meccanismo neurochimico che ho descritto altrove, e per circa un’ora e mezza vivo un senso di pienezza produttiva, una concentrazione limpida, non euforica ma perfettamente centrata. Poi, tra le 7:30 e le 8:00, l’onda si ritira. Non è una questione di orari o di obblighi: la scuola, per me, è un contesto riconosciuto come significativo, e quindi mantiene viva la motivazione; il bar, ad esempio, a quell’ora, è invece un luogo che il mio cervello legge come vuoto, privo di senso. Quando l’effetto della dop...
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  Come trascorro la mia giornata incastrando stati emotivi ed ormoni Mi sveglio ogni mattina alle 5, che vada a scuola o no. Il cervello riconosce quel momento come l’avvio della routine: doccia, qualche flessione, preparo il caffè. Con la caffeina che “apre le porte” alla dopamina mi siedo al computer con la musica in cuffia: preparo materiale didattico, faccio ricerche, condivido un post. Sto bene. Questo slancio dura circa un’ora. Poi colazione: uovo, avocado, crauti; kefir con semi. Mi avvio in palestra per una breve sessione. Intanto l’effetto dopaminico si affievolisce: il cervello potrebbe tingere di negativo quello che vedo, ma so che è parte del ciclo e resto tranquillo. Dopo la palestra, o vado a scuola oppure—se è un giorno di riposo—mi sposto in una cittadina vicina (spesso Fano) per camminare, un bar, una libreria. Arrivato, prendo un altro caffè: riaccende lo slancio e mi permette di vivere in positivo ciò che già riconosco come significativo—la scuola o le passegg...
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 Devo imparare a stare con gli altri alle cinque del pomeriggio. Nel mio percorso verso il benessere quotidiano, ormai riconosco come ogni tassello ormonale si incastri con ciò che faccio, penso e vivo. C’è però un punto critico: la caffeina. Per me è un piccolo aiuto esterno, neuro-chimico, che accende la miccia della dopamina e mi fa desiderare le cose che amo. È utile, ma fragile: se sbaglio dose scivolo nell’assuefazione, l’effetto si smorza e rischio il circuito del “ne prendo altra per sentire di nuovo”. È quindi un supporto da maneggiare con cura. Fatto sta che oggi so leggere quasi alla perfezione il mio ciclo ormonale e so che tra le 17 e le 18 la spinta dopaminica del primo pomeriggio rallenta e, con lei, si esaurisce il desiderio di stare al computer a lavorare. È proprio in quell’ora che voglio educare la mente a cercare relazioni. Così esco e vado al bar: senza alcol come “lubrificante sociale” non è sempre semplice, ma anche davanti a una tazza d’orzo o a una tisana...
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  Il diario ormonale quotidiano Se penso al nostro equilibrio, mi viene naturale immaginare tre attori principali: serotonina, dopamina e ossitocina. La serotonina è l’hardware: la base stabile su cui tutto il resto gira. Oscilla, ha un suo ciclo quotidiano, ma quando c’è dà quella serenità di fondo che rende abitabile la giornata. La dopamina è il software: l’avvio, la spinta, la miccia. È più capricciosa—sale, scende, sbriciola la noia e poi svanisce—ma senza di lei ci si sente svuotati, come se il motore fosse acceso ma senza marce. L’ossitocina, infine, è la luce: non è solo un elemento in più, è ciò che scalda l’intero quadro, rende umani i contorni, dà senso alle ombre. Le persone naturalmente “serotoniniche” possono vivere in armonia con la vita, ma se la dopamina scarseggia rischiano una malinconia sottile, come un cielo terso senza vento. Chi invece non ha una buona base di serotonina, quando la dopamina cade sprofonda: l’energia non diventa progetto, il desiderio non si...
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  La rivoluzione dei miei pomeriggi C’è stato un tempo in cui il pomeriggio — soprattutto la domenica — era una terra di nessuno. Un limbo in cui cercavo piccole fughe: un’ora al bar per “spegnere”, una passeggiata senza meta, qualche distrazione per anestetizzare quella cappa sottile di malinconia. Credevo di difendermi dal dovere, e invece mi stavo difendendo dal vuoto. Poi qualcosa si è assestato: ho smesso di dividere la giornata in comparti stagni e ho iniziato a chiedermi non “che cosa devo o posso fare”, ma “che valore ha ciò che sto facendo adesso?”. È lì che la mia mappa interiore si è ridisegnata. La vecchia dicotomia dovere/piacere non regge più. Il cervello, rieducato con pazienza, non cerca valvole di sfogo: cerca densità. Da una parte il tempo significativo — quello che mi nutre, mi allinea, mi fa sentire in direzione; dall’altra il tempo scadente — quello che riempie ma non sazia, che occupa ma non orienta. Dentro il tempo significativo è entrato anche il lavoro: n...
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  La sveglia delle cinque Anche negli anni romani più notturni mi alzavo presto. Dormivo sul divano da amici, poi all’alba sparivo senza che nessuno mi vedesse. Da circa un anno però ho fatto un passo in più: ho fissato la sveglia alle 5. Tutti i giorni, lavoro o riposo, estate o inverno. In realtà mi sveglio quasi sempre prima, ma aspetto che suoni: non è un colpo di ansia per la giornata che arriva, è il mio momento preferito. Quel suono è diventato una sigla d’apertura — come i cartoni su ReteCapri con cui mia madre mi svegliava alle 7 quando ero bambino. È un suono “bello” perché fa scattare la routine che il mio cervello desidera: qualche flessione, una doccia, vitamina C, e poi, sorseggiando un caffè, mi siedo al computer. Lì lavoro, ascolto musica, scrivo, cerco. La caffeina fa la sua parte: bloccando i recettori dell’adenosina facilita la circolazione della dopamina nei circuiti nervosi e alimenta la motivazione. È come se il cervello smettesse di chiedersi che giorno sia...