Devo imparare a stare con gli altri alle cinque del pomeriggio.
Nel mio percorso verso il benessere quotidiano, ormai riconosco come ogni tassello ormonale si incastri con ciò che faccio, penso e vivo. C’è però un punto critico: la caffeina. Per me è un piccolo aiuto esterno, neuro-chimico, che accende la miccia della dopamina e mi fa desiderare le cose che amo. È utile, ma fragile: se sbaglio dose scivolo nell’assuefazione, l’effetto si smorza e rischio il circuito del “ne prendo altra per sentire di nuovo”. È quindi un supporto da maneggiare con cura.
Fatto sta che oggi so leggere quasi alla perfezione il mio ciclo ormonale e so che tra le 17 e le 18 la spinta dopaminica del primo pomeriggio rallenta e, con lei, si esaurisce il desiderio di stare al computer a lavorare. È proprio in quell’ora che voglio educare la mente a cercare relazioni. Così esco e vado al bar: senza alcol come “lubrificante sociale” non è sempre semplice, ma anche davanti a una tazza d’orzo o a una tisana il mio cervello sta imparando a riconoscere come positive le chiacchiere leggere con persone con cui sto bene. In particolare, negli ultimi tempi, con un amico ci ritroviamo a parlare e a risolvere insieme il cruciverba quotidiano di Repubblica: un piccolo rito che ci tiene connessi e mi rimette in circolo. Mi piacerebbe anche imparare (o reimparare) a giocare a scacchi: non tanto per il gioco in sé, quanto come modo per stare in relazione, condividere un tempo e uno spazio che mi aiutino ad attraversare in equilibrio quell’ora o due del tardo pomeriggio.
Poi, tra le 19 e le 20, il corpo chiede la passeggiata: aria, ritmo, decompressione. Dopo entro in modalità riposo: leggo, faccio ricerche, annoto ciò che voglio mi resti. E mi addormento.
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