🟦 Martedì – Il bello della matematica: Le tre ellissi
All’orale del concorso per diventare docente parlai del legame tra geometria analitica e arte, soffermandomi in particolare sull’utilizzo dell’ellisse nell’architettura del Seicento. Dal colonnato di San Pietro di Bernini (che in realtà non è una vera ellisse), alle forme ellittiche di San Carlino di Borromini e Sant’Andrea al Quirinale, notavo come l’ellisse fosse diventata uno strumento espressivo di tensione e movimento, proprio in un’epoca in cui la geometria analitica stava nascendo — con Cartesio e il suo piano cartesiano.
Ma a dire il vero, a me questa trasversalità non interessa davvero. Non credo che la matematica sia bella solo perché “serve” all’arte o alla realtà. La matematica è bella di per sé.
Io trovo nella formula dell’ellisse,
la stessa eleganza che sento guardando l’ellisse architettonica di Borromini. Ma con una differenza fondamentale: la formula è perfetta, l’ellisse disegnata non lo sarà mai. Ed è proprio qui che mi emoziono.
Come Cartesio, sono affascinato dal fatto che un oggetto geometrico, disegnato sul piano, sia sempre una rappresentazione imperfetta di un’idea pura e razionale. È un po’ il vecchio contrasto tra l’idea platonica e la sua rappresentazione sensibile. La matematica diventa così, per me, un punto di incontro tra razionale e visibile, tra pensiero e forma, tra ciò che può essere detto con precisione e ciò che si può solo approssimare.
Se proprio devo pensare a un paragone artistico, non mi vengono in mente né Borromini né Bernini. Mi viene in mente Joseph Kosuth, e le sue Tre sedie: una fotografia, una sedia vera, e la sua definizione. Ecco: l’ellisse disegnata, la formula algebrica, e la definizione di ellisse sono proprio così. Tre modi diversi di esprimere un’idea. Nessuno dei tre è esaustivo da solo. Ma insieme ci fanno vedere l’invisibile.

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