La sveglia delle cinque
Anche negli anni romani più notturni mi alzavo presto. Dormivo sul divano da amici, poi all’alba sparivo senza che nessuno mi vedesse. Da circa un anno però ho fatto un passo in più: ho fissato la sveglia alle 5. Tutti i giorni, lavoro o riposo, estate o inverno. In realtà mi sveglio quasi sempre prima, ma aspetto che suoni: non è un colpo di ansia per la giornata che arriva, è il mio momento preferito.
Quel suono è diventato una sigla d’apertura — come i cartoni su ReteCapri con cui mia madre mi svegliava alle 7 quando ero bambino. È un suono “bello” perché fa scattare la routine che il mio cervello desidera: qualche flessione, una doccia, vitamina C, e poi, sorseggiando un caffè, mi siedo al computer. Lì lavoro, ascolto musica, scrivo, cerco. La caffeina fa la sua parte: bloccando i recettori dell’adenosina facilita la circolazione della dopamina nei circuiti nervosi e alimenta la motivazione. È come se il cervello smettesse di chiedersi che giorno sia: ciò che vuole è la routine, a prescindere.
Verso le sette faccio colazione e, se non devo correre a scuola, passo in palestra per una breve sessione. Vado quasi sempre a letto presto (per gli altri “presto”, per me “giusto”); ma anche quando rientro tardi, alle cinque la routine parte comunque: durante il giorno sono un po’ più affaticato, poi mi riassesto.
Non voglio insegnare nulla a nessuno. Mi piace però raccontare questa cosa perché stupisce prima di tutto me: io odiavo le sveglie. Ricordo quando una mia ex le impostava alle 7 per andare a lavorare: cercavo di svegliarmi prima pur di non sentirla, mi alzavo e me ne andavo. Oggi invece il trillo delle cinque mi rassicura. È la campanella che apre la mia giornata migliore.
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