Il diario ormonale quotidiano

Se penso al nostro equilibrio, mi viene naturale immaginare tre attori principali: serotonina, dopamina e ossitocina. La serotonina è l’hardware: la base stabile su cui tutto il resto gira. Oscilla, ha un suo ciclo quotidiano, ma quando c’è dà quella serenità di fondo che rende abitabile la giornata. La dopamina è il software: l’avvio, la spinta, la miccia. È più capricciosa—sale, scende, sbriciola la noia e poi svanisce—ma senza di lei ci si sente svuotati, come se il motore fosse acceso ma senza marce. L’ossitocina, infine, è la luce: non è solo un elemento in più, è ciò che scalda l’intero quadro, rende umani i contorni, dà senso alle ombre.

Le persone naturalmente “serotoniniche” possono vivere in armonia con la vita, ma se la dopamina scarseggia rischiano una malinconia sottile, come un cielo terso senza vento. Chi invece non ha una buona base di serotonina, quando la dopamina cade sprofonda: l’energia non diventa progetto, il desiderio non si trasforma in cammino. L’Occidente ci addestra a inseguire dopamina—sfide, obiettivi, scroll infiniti, vizi eleganti—e poco a coltivare serotonina. Finché la scintilla dopaminica arriva, il sistema sembra funzionare, ma è un equilibrio a credito: la figura del Don Giovanni ne è l’emblema—fame di novità, poca dimora.

Come si educa una serotonina di base quando non è “di fabbrica”? Costruendo senso. Non motivazioni a scadenza, ma una quotidianità che abbia una forma: riti, confini porosi ma riconoscibili, attività che risuonano con ciò che siamo. Significa mettere in agenda non solo “cose da fare”, ma “modi di stare”: ciò che ci rimette in asse quando la spinta dopaminica rallenta.

In termini d’arte, la serotonina è un Constable: paesaggio abitabile, equilibrio dell’aria, un sentimento del pittoresco che regge l’umore. Ma anche un Constable può virare al felice o al mesto: lì entra la dopamina, il sublime che increspa la superficie—Turner che incendia l’orizzonte, o il viandante di Friedrich sospeso sul mare di nebbia. Senza quella vibrazione, la vita non avanza; solo con quella, senza base, si brucia. E l’ossitocina? È la luce di Bellini: non domina la scena, la permea. Senza, tutto è corretto ma freddo; con lei, anche la fatica ha un tepore, l’efficienza diventa cura, la gioia smette di essere vuota.

Forse l’educazione emotiva dovrebbe insegnare proprio questa architettura:

  • una base di serenità (serotonina) coltivata con senso, ritmo, riposo vero, presenza;

  • slanci di ricerca e sfida (dopamina) orientati da progetti che ci somigliano, non solo da stimoli;

  • relazioni e gesti di tenerezza (ossitocina) che accendano la luce sul tutto.

Non si tratta di reprimere il sublime per proteggere il pittoresco, né di accecare il paesaggio con il fuoco del desiderio. Si tratta di imparare a comporli: un giorno più Turner, un altro più Constable, sempre con Bellini che illumina la scena. Quando questo accade, la vita smette di essere una somma di picchi e crolli e comincia a somigliare a un quadro che—finalmente—vogliamo abitare.

Alex Katz, Emma 4


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