Due passi, un bar e una libreria D’estate mi accorgo ancora di più della differenza tra la mia vita e quella di chi trascorre le giornate tra eventi, serate e impegni familiari. La mia dimensione è molto più essenziale: poche relazioni sociali, per lo più le chiacchiere del mattino al bar, e una vita familiare semplice. Un tempo anch’io vivevo immerso in rapporti più estesi: a volte piacevoli, altre volte vincolanti. Oggi mi capita di pensare di essere fortunato a non avere obblighi, libero da costrizioni che non sento mie; altre volte, però, penso che potrei ancora godermi certe situazioni. Ma le cose cambiano, e in questa fase della vita sento soprattutto il bisogno di esperienze autentiche e personali. Forse è per questo che trovo pienezza in poche cose semplici. Le mie ore migliori sono quelle del mattino presto: il bar quasi vuoto, il caffè, il computer, la musica nelle cuffie e la piazza davanti che lentamente prende forma e colore. In quei momenti capisco che la mia fel...
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Visualizzazione dei post da agosto, 2025
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Titolo: Giochi linguistici e usi dell’infinito Nel gioco linguistico della geometria scolastica, dire “un segmento ha infiniti punti” non crea alcun dubbio. Non pensiamo alla cardinalità o alla non numerabilità, né a Cantor: sappiamo che è così in quel gioco , e basta. L’affermazione funziona come una regola interna, non come la descrizione di un’entità misteriosa. È come negli scacchi: “il cavallo si muove a L” non richiede di sapere cos’è una “L” in senso geometrico — è una convenzione che regola il gioco. Lo stesso vale per molti altri usi di infinito : nella matematica scolastica, “limite all’infinito”, “somma infinita”, “infinite cifre decimali” sono espressioni correnti che funzionano senza bisogno di definizioni tecniche complete; nel linguaggio comune, dire “ho aspettato un tempo infinito” è un’iperbole; in ambito religioso, “Dio infinito” appartiene a un gioco teologico, con regole proprie. In tutti questi casi, se restiamo nel contesto, non c’è ambiguità...
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Oltre il 10%: l’IA, il reddito universale e la vera rivoluzione interiore Quando parliamo di felicità, un modello divulgativo usato in psicologia positiva — il 10–40–50 — ci offre una prospettiva chiara: 10% dipende dalle condizioni esterne: reddito, casa, lavoro, comfort, salute fisica. 50% è legato a fattori genetici e tratti stabili della personalità. 40% deriva dalle nostre azioni intenzionali: le scelte quotidiane, le abitudini, il modo in cui interpretiamo e viviamo gli eventi. Queste percentuali non sono leggi matematiche, ma ci ricordano una cosa importante: una quota enorme della nostra felicità è nelle nostre mani . Eppure, da sempre , il nostro modello di società ci spinge a usare il 90% delle energie per migliorare quel piccolo 10%. Fin dall’inizio delle civiltà organizzate, il prestigio, il potere e il successo si sono misurati quasi sempre su parametri esterni: possedimenti, ricchezze, status. Oggi le forme sono cambiate, ma la logica è rimasta i...
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Il mio universo musicale Quando mi chiedono che musica mi piace, non riesco a rispondere con un genere. Preferisco raccontarlo come una costellazione di dischi che hanno segnato il mio modo di ascoltare, e forse anche di guardare il mondo. Nel 1965 A Love Supreme di John Coltrane: non lo sento solo come musica, ma come preghiera, rito, slancio spirituale. È il jazz che si fa trascendenza, il segno che per me la musica deve avere un senso oltre il suono. Pochi anni dopo, nel 1969, Happy Sad di Tim Buckley racconta di come la canzone possa uscire dai suoi confini classici. La voce diventa strumento, il folk si apre all’improvvisazione. Amo questa libertà formale messa al servizio dell’espressività. Nel 1967, Songs of Leonard Cohen mostra l’altra faccia della medaglia: minimalismo, precisione poetica, introspezione. Se Buckley dilata, Cohen concentra. Due poli opposti ma per me complementari. Sempre nel ’67, The Velvet Underground & Nico rovescia le regole: arte concet...
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Disintossicarsi per ritrovare il piacere del cibo che nutre: un percorso concreto Molti pensano che liberarsi dalla dipendenza da cibo spazzatura significhi affrontare un lungo elenco di rinunce e privazioni. In realtà, si tratta di un percorso di ri-educazione del desiderio, un processo di disintossicazione che porta a ritrovare il piacere spontaneo per il cibo che nutre davvero. 1. Ridefinire l’obiettivo Non invidiare chi “mangia di tutto” senza ingrassare. Il traguardo non è poter assumere qualunque alimento senza conseguenze visibili, ma liberarsi dal piacere effimero di cibi che appagano nell’immediato e peggiorano il benessere complessivo. L’obiettivo è arrivare a desiderare e gustare cibi nutrienti, non per disciplina, ma per reale attrazione. 2. Conoscere il valore del cibo Imparare le caratteristiche nutrizionali degli alimenti: proteine di qualità, grassi benefici, vitamine, minerali, fitocomposti. Il cervello deve saper “leggere” ciò che sta ricevendo. Un cibo pov...
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Disintossicarsi per tornare a desiderare il cibo che nutre Molte persone, quando decidono di iniziare una dieta per dimagrire o di liberarsi dalla dipendenza da cibo spazzatura, partono da un presupposto diffuso: credono che si tratti di un percorso di rinunce . Immaginano che dovranno imparare a dire di no ai cibi che amano e ad abituarsi, con disciplina, a mangiare cibi “sani” che non desiderano davvero. Pensano di dover diventare più forti, più bravi, più resistenti. Ma questa rappresentazione è, in realtà, fuorviante. Non si tratta di un esercizio di forza di volontà. Non si tratta di costruire un nuovo regime da sopportare con tenacia. Quello di cui si parla è un processo di disintossicazione , e in quanto tale non ha come obiettivo principale il controllo, ma la liberazione . Liberazione da una condizione di dipendenza biochimica e psicologica, in cui il sistema della gratificazione è stato alterato e colonizzato da stimoli che il corpo impara a rincorrere in modo automa...