Sono felice di essere tornato a scuola. Non è solo una questione di routine ripresa o di un ambiente che mi è familiare: è la possibilità di ritrovare uno spazio che la mia mente riconosce come realmente significativo. Quando preparo una lezione che funziona, quando riesco a proporre ai ragazzi percorsi di logica-matematica o approfondimenti che sento densi e vivi, ho la netta percezione di abitare un territorio pieno, un luogo interiore che non mi svuota ma, al contrario, mi nutre.
Il vero problema, oggi, è proprio quello dello svuotamento. Con l’età imparo a distinguerlo meglio e mi rendo conto che non coincide affatto con la noia. La noia nasce dalla mancanza di stimoli, dallo scorrere uniforme di giornate vuote. Oggi, invece, gli stimoli abbondano: il cellulare sempre a portata di mano, i video infiniti, i social, le occasioni mondane, gli eventi sportivi. Tutto ciò può apparire, a tratti, persino travolgente, ma il cervello, dopo un po’, riconosce l’inganno e registra queste attività come svuotanti. Non è assenza di stimoli, ma un eccesso che scava dentro, lasciando poco o nulla.
Anche la scuola e il lavoro rischiano di cadere in questa trappola: se non mi riconosco nella didattica che propongo, se non riesco a sentirmi parte della materia che insegno, allora anch’essi perdono spessore e diventano attività vuote. È una sottile linea di confine: lo stesso gesto, lo stesso compito, può essere colmo di senso o del tutto svuotato, a seconda di come riesco ad abitarlo.
L’estate mi ha aiutato a chiarirmi le idee su cosa, invece, resta sempre pieno. Camminare, ad esempio: anche per ore, senza meta precisa, è un’attività che non smette mai di darmi gratificazione. Se poi la camminata si alterna a una sosta al bar, soprattutto se accompagnata dalla lettura, allora tutto acquista una pienezza naturale, fatta di ritmo e respiro. Lo stesso accade con le pause in libreria: lì ritrovo la sensazione di un tempo ben speso, che mi riconnette con ciò che conta davvero.
Resta però aperta una domanda importante: quali momenti di vita sociale posso vivere senza sentirmi svuotato? Non è semplice rispondere. Sicuramente lo sono le conversazioni che toccano argomenti per me rilevanti, discussioni che si nutrono di contenuto e non di superficie, in cui posso mettere in gioco ciò che so e che penso. Anche la socialità che si intreccia naturalmente con il mio lavoro, fatta di scambio e crescita reciproca, mi appare significativa. Al contrario, molte altre occasioni sociali, pur affollate e rumorose, mi lasciano con una sensazione di vuoto.
Non è facile vivere se si vuole vivere davvero felici. Occorre imparare a distinguere con attenzione ciò che riempie da ciò che svuota, e a scegliere consapevolmente i momenti che lasciano un segno, che si depositano dentro come tracce di senso. È un cammino faticoso, perché implica rinunce e discernimento, ma è anche l’unico che mi sembra valga la pena di percorrere.
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