Una mia riflessione sulla Flagellazione di Piero

Di fronte alla Flagellazione di Cristo di Piero della Francesca si ha subito l’impressione di una scena ordinata. Le linee convergono, le proporzioni sono perfette, lo spazio è costruito con una razionalità limpida. Eppure, più si guarda, più ci si accorge che lo sguardo non trova pace. Cerca un centro e non lo trova. O meglio: il centro c’è, ma non coincide con ciò che pensavamo dovesse esserlo.

Il punto di fuga, quel luogo dove tutto dovrebbe confluire, non corrisponde a nessuna figura significativa. È nascosto, defilato, quasi dietro il corpo di un personaggio che sembra secondario. Eppure è lì che la geometria conduce. Come se Piero avesse voluto costruire con una precisione assoluta una dislocazione. Come se la prospettiva, invece di portarci alla verità, ci dicesse che il centro è altrove, che ci sfugge, che non possiamo possederlo.

La scena sacra della flagellazione è sullo sfondo, in penombra, mentre in primo piano tre personaggi enigmatici occupano lo spazio con silenziosa autorevolezza. Ma nella nostra mente, tutto si rovescia. È la scena di fondo a imporsi al pensiero, mentre quelle tre figure così vicine sembrano lontanissime dal senso. È come se il quadro ci obbligasse a capovolgere le categorie consuete, a ripensare il rapporto tra ciò che è visibile e ciò che è essenziale.

Questo è il punto in cui la prospettiva, invece di chiarire, diventa un enigma. Non c’è un mistero nel contenuto, non c’è un enigma iconografico da decifrare. Il mistero è tutto in quello slittamento sottile tra occhio e mente, tra spazio visibile e pensiero invisibile. Un mistero estetico, non narrativo. Eppure gli storici dell’arte, per secoli, hanno cercato di bloccarlo, di fissarlo, illusi dall’inquadratura prospettica di poterlo incasellare, come se fosse una questione da risolvere.

È forse per questo che sento questo dipinto come qualcosa di profondamente mio. Nella mia vita cerco da sempre un centro. Un luogo, un principio, un punto di convergenza. Ma ogni volta che credo di averlo trovato, sento anche il bisogno di spostarlo. Non per smarrimento, ma per non farmi intrappolare. Per non farmi raccontare da narrazioni troppo semplici, troppo lineari. Per non sentirmi definito una volta per tutte. Cerco uno sguardo obliquo, come quello che cerco nella letteratura, per vivere dentro e fuori, per abitare i margini, per camminare tra frammenti senza rinunciare all’idea che un senso esista.

E così La Flagellazione mi parla come poche altre immagini sanno fare. Perché è una pittura che non si lascia risolvere. Perché mi ricorda che si può cercare un centro anche mentre lo si lascia scivolare via. Che si può abitare una geometria perfetta senza smettere di interrogarsi. Che si può guardare profondamente, e rimanere, felicemente, inquieti.

Piero della Francesca - The Flagellation of Christ

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