L’ossessione di non essere un insegnante medio

Riflessioni sul mestiere dell’insegnare

Il mio mestiere di insegnante è da sempre attraversato, sul fondo, da un'inquietudine. Un'inquietudine che ha un nome preciso: Pier Paolo Pasolini. Le sue parole – quelle sulla scuola che forma alla medietà – tornano spesso a interrogarmi. Pasolini distingueva tra la cultura trasmessa dall’alto, istituzionale e addestrativa, e quella che nasce dal basso, dal contesto, dai valori respirati nel proprio ambiente, sempre più inautentico dopo il boom economico. E poi parlava di una vera cultura che diventa tale solo quando è interiorizzata, fatta propria, trasformata in visione personale.

Questa visione non coincide con lo specialismo tecnico, ma con la profondità di chi ha scavato dentro le cose, fino a farle diventare sguardo sul mondo.

E allora mi chiedo: la scuola che vivo e che cerco di costruire ogni giorno, è una scuola che apre o che addestra? Forma alla consapevolezza o all’adattamento? Aiuta a costruire percorsi critici ed esistenziali o insegna, più semplicemente, a diventare uomini medi, cittadini affidabili, lavoratori disciplinati?

Perché in fondo è questo che si chiede a uno studente oggi: svegliarsi presto, rispettare gli orari, eseguire compiti, non creare problemi. E io stesso, spesso, mi accorgo che la prima cosa che desidero in una classe è che ci sia disciplina. Per poter lavorare, certo. Per poter creare un ambiente sereno, certo. Ma non posso accontentarmi di questo. Devo anche imparare a leggere quei comportamenti che disturbano, a decifrarli come segnali, domande, resistenze. Non solo come ostacoli.

In questi giorni sto leggendo Jakob von Gunten di Robert Walser. Un romanzo che racconta una scuola – l’Istituto Benjamenta – dove gli allievi vengono formati non tanto per crescere, quanto per adattarsi a servire. Non è una scuola che coltiva le individualità, ma che le riduce, le ammansisce, le addestra. E non posso fare a meno di chiedermi: quanta scuola di oggi somiglia a quell’istituto?

Quanta parte del mio stesso insegnamento rischia di aderire, magari in buona fede, a un racconto sociale che ci vuole tutti lì, studenti e insegnanti, ogni mattina, a fare la nostra parte in un meccanismo già scritto? Quante volte dimentico di chiedermi chi ho davvero davanti, e chi sono io, ogni giorno, in quel ruolo?

Non voglio essere un insegnante medio. Non perché debba essere speciale, ma perché non voglio trasmettere medietà. Voglio restare vigile. Voglio chiedermi ogni giorno cosa resta, davvero, dei teoremi, delle formule, degli esercizi. E se resta poco, allora voglio che almeno resti il senso di un incontro, di un’apertura, di un dubbio. Perché anche un solo dubbio, se autentico, può far deragliare una vita dalla normalità imposta e avviarla verso la ricerca di sé.


Il Buddha - Odilon Redon


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