Difendere lo spazio interiore

Sono stato due giorni a Milano, nel fine settimana. La mattina mi sono svegliato presto e verso le 5.30 ho camminato per il centro. Era tutto deserto, ad eccezione di qualche figura in piazza Duomo rimasta lì dalla notte. I bar ancora chiusi – ed è paradossale, perché nel mio paese un bar aperto la mattina presto si trova sempre – e attorno soltanto insegne, vetrine, cartelloni pubblicitari, negozi chiusi. Eppure, anche in quel silenzio, Milano mi è apparsa come una macchina sempre pronta ad attivarsi, come se tutto fosse apparecchiato per travolgerti di stimoli, di informazioni, di inviti al consumo e alla corsa.

Un tempo mi sarei fatto attirare. Avrei guardato le mostre in programma – e ce n’erano di interessanti: Leonor Fini, Dorothea Lange, Mario Giacomelli – e forse avrei sentito l’urgenza di andare, vedere, approfittarne. Oggi invece mi sento diverso. Non è che non mi piaccia viaggiare o visitare mostre, non è che non provi piacere nell’acquistare qualcosa di bello o nel rompere la quotidianità con esperienze nuove. Ma non mi sento obbligato a farlo. Non sento più il bisogno di riempire compulsivamente ogni momento e ogni spazio. Non vivo più la vita come qualcosa da riempire, ma come qualcosa da custodire.

A Milano ho vissuto tutto in modo più intimo. Ho camminato molto, mi sono goduto la mia famiglia, ho scelto cosa vedere e cosa lasciar andare. Ho incrociato e sono entrato soltanto a Santa Maria presso San Satiro, per rivedere l’abside di Bramante, quella celebre illusione prospettica che mi colpisce ogni volta per la sua intelligenza silenziosa e matematica. E nient’altro. Ho lasciato spesso il cellulare lontano da me, come a proteggere un piccolo spazio mio, un tempo senza notifiche, senza scatti da condividere, senza bisogno di mostrare nulla a nessuno. Anche questo è un gesto, oggi, forse il più necessario: difendere il proprio spazio interiore.

L’estate amplifica tutto. È la stagione in cui sembra che tutti stiano facendo vacanze meravigliose, vivendo esperienze imperdibili, costruendo ricordi da esibire. Ma io non voglio più sentirmi in dovere di partecipare a questo gioco. Non mi interessa restare fuori dal mondo, ma nemmeno viverlo come una vetrina. Sto imparando a scegliere con cura, a non rincorrere. E più lo faccio, più mi sento presente. Non vuoto, non in difetto. Solo più libero.


Fiori in brocca rossa - Odilon Redon



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