Il mio stile alimentare non è un’assenza
Riflessioni sul modo in cui mangio oggi
Al paese, ormai, sono “quello che non mangia pasta, pane, dolci”. È un’etichetta che mi porto dietro da anni. Nei primi tempi, in effetti, ero io stesso a definirmi così. Mi sembrava il modo più immediato per spiegare cosa fosse cambiato nella mia alimentazione. Ma dopo sei anni, questa etichetta mi va stretta. Perché non descrive più il mio stile alimentare. Non dice chi sono oggi.
Col tempo, infatti, il mio sguardo si è spostato. Non penso più a quello che ho escluso. Non faccio la lista delle cose che “non posso mangiare”. Il mio cervello non si accende più su quello che manca, ma su ciò che c’è: sulle scelte che faccio ogni giorno con naturalezza e piacere.
Penso alle verdure che ho in frigo. Ai diversi tipi di pesce che ho mangiato in settimana – mi chiedo se ho assunto abbastanza omega 3 con alici, sgombro, sardine. Penso ai semi, alle mandorle, ai crauti, alle uova, al kefir, all’avocado. Penso alla varietà, alla qualità, alla freschezza. Mi chiedo se ho avuto abbastanza proteine complete, abbastanza grassi buoni, abbastanza nutrienti veri. E spesso mi sveglio senza fame, e mi domando se fare colazione oppure no. Mi ascolto. E questo ascolto è diventato spontaneo.
A casa cucino io. E anche la mia compagna ha uno stile molto simile al mio. Lei al posto del kefir mangia yogurt, e consuma un po’ più di frutta. Al mattino mi chiede: “Oggi che verdure ci sono?” – perché il nostro menù settimanale è piuttosto stabile, cambia tra estate e inverno, ma le verdure sono sempre diverse. E sono le verdure a fare la differenza, perché non sono un contorno: sono il piatto principale, quello che ha preso il posto dei primi. Nessun senso di mancanza: semplicemente, il nostro piatto ha un’altra forma.
Mangiamo tre volte carne e quattro volte pesce a settimana. Il pesce è più o meno sempre lo stesso, in tutte le stagioni. La carne invece cambia con il clima: d’estate preferiamo quella magra. La acquistiamo da allevatori locali, da persone di cui conosciamo la storia e il modo in cui trattano gli animali, allevati allo stato semi-brado. Non mangiamo salumi né affettati, e come latticini solo kefir o yogurt.
Negli anni abbiamo anche cambiato modo di cucinare. Ormai cuociamo quasi tutto a vapore. Ci piacciono i gusti delicati, puliti, essenziali. Quando mangiamo fuori, sentiamo che è tutto troppo carico: troppo olio, troppo sale, troppi sapori mescolati. Ma non è una scelta fatta per “salute” o perché “fa bene”: semplicemente, ci piace così. Il gusto si è trasformato con noi.
Il grosso dei pasti lo facciamo a pranzo. È lì che concentriamo la parte più ricca e completa della giornata. Poi, nel tardo pomeriggio, spesso stuzzichiamo qualcosa: olive, uova, qualche verdura, un po’ di kefir o frutta secca. Di solito non ceniamo. È diventata una consuetudine naturale. Non per una regola rigida, ma per assecondare quello che sentiamo. E anche qui, nessun senso di rinuncia: ci sentiamo leggeri e soddisfatti.
La mia compagna, in modo naturale, mantiene comunque una certa flessibilità: capita che in occasioni sociali, o al lavoro quando qualcuno porta qualcosa, mangi una fetta di pizza o qualche stuzzichino farinaceo. Lo fa senza problemi e senza sensi di colpa, perché questo nostro stile non è una gabbia, ma un equilibrio che abbiamo costruito insieme. Non c’è rigidità, solo consapevolezza.
Ogni anno ci facciamo anche un quadro completo di esami del sangue. Non per ansia, ma per responsabilità. Sappiamo che per diversi aspetti il nostro stile alimentare si discosta dalle linee guida ufficiali, quindi ci sembra giusto monitorare. Anche se – va detto – noi ci sentiamo molto bene. Io vivo come se non avessi l’apparato gastro-intestinale: nessun fastidio, nessuna pesantezza, nessun pensiero. E alla fine, paradossalmente, seguiamo molto più noi le linee guida – in termini di nutrienti, equilibrio, qualità – rispetto a quanto non faccia l’occidentale medio.
Non mi sento mai privato di nulla. Mangio con gioia. Il piacere di nutrirmi e quello di mangiare viaggiano insieme, si potenziano a vicenda. I cibi che scelgo mi piacciono per davvero – forse più di quanto mi piacessero quelli di prima. E non perché siano concessi, o più sani, ma perché il mio corpo e la mia mente si sono allineati a un altro gusto. Un gusto più profondo, più essenziale. Non è più questione di evitare ciò che fa male, ma di scegliere ogni giorno quello che mi fa bene.
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