Diario dalla scuola

Compiti senza voce

In questi giorni ho collaborato alla correzione dei compiti di italiano per la maturità. E come ogni anno, mi avvicino a quei testi con la speranza non solo di conoscere un po’ di più i ragazzi, ma anche di capire qualcosa in più del mondo, attraverso i loro occhi. Vorrei che quei fogli raccontassero il presente, le sue inquietudini, le sue attese, magari in modo confuso, ma vero.

E invece resto con un senso di rammarico. I compiti sembrano sempre più trattenuti, come se i ragazzi non pensassero nemmeno di poter dire qualcosa di proprio. Non che manchino le idee ma è come se nessuno avesse detto loro che lì dentro possono (anzi devono) esprimersi liberamente.

Credo che anche la struttura delle tracce, divise per punti, contribuisca a questa rigidità. Si pensa di aiutare fornendo indicazioni, ma a me pare che si insegni soltanto a riempire il foglio. E poi ci sono le griglie di valutazione, con i loro indicatori: strumenti pensati per garantire oggettività, ma che alla fine sembrano fatti per misurare ciò che non si può misurare.

A volte mi viene da sorridere, amaramente: penso a sedovessi valutare un’opera d’arte con una checklist, in base a indicatori come “coerenza tematica”, “adeguatezza lessicale”, “organizzazione logica”. È una scena comica, ma anche tristemente vicina a quello che facciamo.

Io continuo a credere in una valutazione che si fondi su cultura, sensibilità, ascolto. Sì, è più soggettiva, ma anche più vera. Perché questi compiti non riflettono solo i ragazzi: riflettono soprattutto il modo in cui li interroghiamo. E se il nostro sguardo è tecnico, la loro voce sarà "tecnica". Ma io, dentro quei testi, cerco ancora la loro voce. E il mondo, visto con i loro occhi.


Jean Rustin – “Sans titre”


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