Dalla calma nasce il fare
Riflessioni estive su ritmi, significato e adattamento
Alla base di tutto c’è una domanda che negli anni è diventata sempre più chiara: chi voglio essere?
Voglio essere una persona felice. Una felicità che non è euforia né ottimismo di facciata, ma stabilità profonda, senso del tempo, pienezza nel fare le cose che ritengo significative. Voglio essere una persona che conosce il territorio in cui vive, soprattutto da un punto di vista storico-artistico; che si orienta con lucidità nel tempo in cui vive; che si nutre del proprio lavoro e, con esso, nutre i propri studenti; che dialoga con sé stessa grazie all’arte, alla letteratura, al cinema, alla musica; che vive in un ambiente d’amore.
È da questa visione che nasce, ogni giorno, la mia ricerca.
L’estate, per me, è da sempre un laboratorio. Un tempo più morbido, meno incalzato dagli impegni scolastici, in cui posso sperimentare nuovi schemi e osservare con più attenzione i miei ritmi. Negli ultimi tempi ho cercato di allineare le attività della giornata ai miei cicli ormonali: più adrenalinico al mattino, più serotoninico nel pomeriggio. Scegliere cose buone da fare in base allo stato fisico e mentale del momento mi ha aiutato, ma col tempo ho capito che anche questo può diventare una forma di programmazione, di riempimento.
Non voglio solo scegliere attività giuste: desidero che le azioni nascano da una calma profonda, interiore e fisiologica. Non dal dovere, nemmeno dalla strategia, ma da un sentire spontaneo. Vorrei che alcune cose – leggere, scrivere, creare – sorgessero naturalmente da uno stato di quiete, senza doverle “decidere”.
Faccio un esempio. Nel tardo pomeriggio, quando sono al fiume con i piedi nell’acqua e il sole ancora caldo sulla pelle, mi piacerebbe sentire dentro quella calma totale, in cui può emergere, da sé, il desiderio di leggere. Così come mi succede al bar, alle sei del mattino, quando una lucidità attiva ma serena mi porta con naturalezza a scrivere, a lavorare ai materiali didattici, a costruire le cose in cui credo. In quei momenti non c’è fatica, né scelta forzata: il fare nasce da uno stato di armonia.
Anche il modo in cui mi nutro contribuisce a questa stabilità. Negli anni ho scelto un’alimentazione che mi sostiene, che mi rende più stabile, meno reattivo, più capace di fondermi con l’ambiente. In questi giorni di caldo, ad esempio, vedo molte persone provate, ma io lo tollero senza difficoltà. I ventilatori sono ancora nello scantinato. E non per disciplina, ma perché il mio corpo si adatta con naturalezza. Credo che questa forma di adattamento non sia solo fisica, ma anche simbolica: una capacità di essere nel mondo senza opposizione, con uno stato di quiete che lascia spazio al pensiero e all’azione.
In questa estate-laboratorio, non cerco semplicemente una serie di abitudini ben congegnate. Cerco una calma vera, da cui possa nascere un fare pieno di senso. Un fare che non risponde a un programma, ma a un’identità. E giorno dopo giorno, ascoltando ciò che emerge dal profondo, provo a diventare la persona che desidero essere.

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